La finta solidarietà europea che gli Stati Membri hanno voluto ostentare con il piano di redistribuzione di 120.000 rifugiati mostra oggi il suo vero volto. Per un rifugiato accolto, 4 devono essere espulsi. Se ci sono voluti mesi perché i Ministri degli Interni Europei si accordassero sulla redistribuzioni di 120.000 persone, ora si raggiunge l’unanimità in un batter d’occhio sull’espulsione di massa di 400.000 migranti, come se la lotta ai migranti fosse un principio fondante dell’identità europea. La stessa unanimità che ha permesso ieri alla Commissione Europea di varare la fase due del piano militare di lotta agli scafisti in mare Eunav For Med, rinominato Sophia.
La divisione tra quelli che l’UE considera buoni migranti da accogliere e quelli che considera da espellere in modo sommario comincia negli hot-spot, centri d’identificazione da collocare in Italia e Grecia, quale condizione preliminare alla redistribuzione. Se si guardano le cifre degli arrivi del 2015, ci si rende conto che saranno una minoranza quelli che saranno redistribuiti – sono meno di 1/4 quelli che potenzialmente avrebbero diritto alla ridistribuzione – tutti gli altri sono a rischio espulsione. In Sicilia, abbiamo visto subito come l’applicazione delle misure di redistribuzione e l’apertura a Lampedusa di un progetto pilota di hotspot abbia significato un rischio di espulsione diretta. Numerosi i casi segnalatici di persone che, cacciati dai centri a poche ore dallo sbarco, con ancora addosso i vestiti della traversata, si ritrovavano con un ordine di espulsione in mano di cui non sapevano neanche il significato perché nessuno glielo aveva tradotto. Neanche gli Eritrei, che in teoria rientrerebbero nelle quote di coloro da accogliere in Europa, sono esenti dal rischio espulsioni. Il ministero non ha ancora spiegato come gestirà tutti quei migranti che non si faranno identificare nelle 48 ore previste nei cosiddetti hot spot first line, un trattenimento superiore necessiterebbe infatti della convalida di un giudice. Le prospettive sono tutte inquietanti: foto segnalamento coatto e violento; trasformazione degli hotspot first line in CIE; espulsioni e rimpatri forzati di massa.
L’Europa é pronta a tutto perché l’annuncio di espulsione di massa non resti solo una minaccia. Come già successo in passato, l’UE utilizzala il ricatto per costringere paesi di origine e transito alla firma di accordi di riammissione ed espulsione, minacciandoli di sottrare o diminuire gli aiuti allo sviluppo, annullare accordi commerciali, o promette loro l’aumento dei visti per i propri connazionali. Non mancheranno certo regali sottobanco, come le numerose gip e motovedette che negli ultimi anni l’Italia ha regalato a numerosi paesi africani. In nome dell’espulsione di massa stiamo assistendo a trattative con vere e proprie dittature, come nel caso di Gambia ed Eritrea. La storia sembra ripetersi senza alcuna memoria delle sue tragiche conseguenze. Sebbene siano state sotto gli occhi di tutti le conseguenze dell’accordo firmato tra Italia e Libia nel 2008 che ha provocato detenzioni e il respingimento di migliaia di persone, o ancora quello tra Italia ed Egitto che ha permesso in questi anni di respingere illegalmente cittadini egiziani negli stessi barconi con cui arrivavano, ora l’Europa e l’Italia sono pronte a ricominciare a trattare, spendendo cifre sostanziose sia per la macchina delle espulsioni che per convincere gli Stati a firmare gli accordi, chiudendo gli occhi sui gravissimi rischi di violazioni delle convenzioni Internazionali che gli stessi accordi comportano.
L’ARCI, che nel suo progetto monitoraggio delle politiche italiane di esternalizzazioni, denunciava già da tempo la possibile deriva della firma degli accordi di riammissione e dell’uso di hotspot, fa appello ai Ministri degli Interni riuniti oggi a Bruxelles, affinché non venga messa in atto un piano di espulsioni di massa, e per evitare la violazione sistematica dei diritti fondamentali e delle Convenzioni Internazionali di cui sono firmatari.