Anche quest’anno l’Ufficio nazionale Immigrazione dell’Arci ha partecipato alla presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione”, curato dal Centro studi e ricerche IDOS in partenariato con la rivista interreligiosa “Confronti” e in collaborazione con l’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. A più di vent’anni dalla pubblicazione della prima edizione il Dossier continua a proporsi come uno strumento di diffusione e analisi dei dati statistici sull’immigrazione, partendo dalla dimensione internazionale ed europea, per poi soffermarsi sull’Italia e su quanto accaduto nel corso del 2014. 33 guerre che coinvolgono eserciti nazionali e irregolari, 11 missioni di pace, 65 muri innalzati per fermare le rotte di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, 1,2 miliardi di persone che sopravvivono con un reddito al di sotto di un dollaro giornaliero. Per la prima volta , nel 2014, il numero mondiale di migranti forzati sfiora i 60 milioni, di questi i due terzi sono costituiti da sfollati interni e il restante terzo da richiedenti asilo e rifugiati.
La conoscenza, quindi, come antidoto principale al pregiudizio, da contrapporre all’ignoranza, il principale terreno di coltura di razzismo e intolleranza; anche all’interno dei nostri confini nazionali. Le richieste di asilo registrate nell’anno nel nostro Paese sono state 64.625, le persone accolte dalla rete Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) sono passate da 7.823 nel 2012 a 22.961 nell’ultimo anno, ma nonostante ciò il saldo tra le spese per l’accoglienza e gli introiti per l’Erario legati all’immigrazione regolare è positivo. Le entrate fiscali e previdenziali ricollegabili ai lavoratori immigrati sono state nel 2013 pari a 16,6 miliardi, mentre il totale delle uscite sostenute nei loro confronti è stato di 13,5 miliardi, 3,1 miliardi di euro in più.
Occorre dunque investire meglio in un sistema integrato e comunitario di accoglienza, smettere di pensare che l’unica strategia possibile sia quella di bombardare i barconi e chiudere le frontiere, ma cominciare a ragionare sulle cause delle migrazioni e sulle strategie di cooperazione tra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo, garantendo libertà e crescita economica. Nei tempi della globalizzazione, infatti, le migrazioni acquisiscono una importanza particolare. Ad un paese come l’Italia, il cui sistema economico ha bisogno di confrontarsi con il mondo, i migranti servono non solo come promotori del “made in Italy”, ma anche come fattori di collegamento con altre economie. Sono una risorsa umana che può assumere un valore inestimabile. Parafrasando le parole del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon:
“Quando avevo 6 anni, 65 anni fa, ero un profugo anch’io. C’era una guerra terribile in Corea nel 1950, il mio villaggio fu bombardato e distrutto e io non sapevo nulla della guerra ma dovetti fuggire con la mia famiglia. Sapevo solo che avevo le scarpe infangate, avevo fame ed ero povero e non c’era più la scuola. Chissà, uno di voi [rifugiati ndr] un giorno potrebbe prendere il mio posto.”
Di fronte alla limpidezza dei dati sembra incomprensibile l’esitazione nel riconoscere pienamente il contributo che i migranti offrono alle nostre economie, così come non si spiega perché si continui a considerarli solo come “ponti levatoi”, utili, forse, a intervalli, come orpelli funzionali alla vita di una fortezza inespugnabile.