Alla tragedia di un anno fa, 18 aprile 2015, dove più di 800 migranti perdevano la vita nel Mar Mediterraneo, si aggiungono quelle di oggi: circa 400 persone, perlopiù somale, sono annegate durante la traversata dall’Egitto all’Italia. Eppure non bastano. Non scioccano, non indignano. Anzi in questo triste anniversario l’ossessione dei governi europei e di quello italiano è fermare le persone che vogliono varcare le nostre frontiere.
Una ossessione che si basa essenzialmente su due assunti. Il primo tutto politico e legato alla ricerca del consenso (o meglio all’ansia di perderlo): dimostrare che si fa sul serio nel voler fermare il flusso dei migranti, alimentando esplicitamente l’idea che l’invasione ci sia e che quindi siano necessarie misure di protezione.
Il secondo, legato al primo, è l’idea che l’arrivo di poco più di un milione di persone in un anno per un continente (l’Ue a 28) con più di 500 milioni di abitanti, rappresenti un numero troppo alto, un’invasione appunto.
A partire da queste due “verità”, non dimostrate ma acquisite dai governi e da gran parte della stampa e della politica, la soluzione che emerge dal Consiglio degli Affari esteri iniziato oggi in Lussemburgo e dal Migration Compact proposto dal governo Italiano è solo quella di sigillare le frontiere, respingere, bloccare prima degli arrivi.
Con questo intento, Renzi invia una lettera a Tusk e alla Commissione dove si propone di assumere a modello il vergognoso accordo Ue-Turchia per il piano di gestione della migrazione: accordo con i paesi di origine e transito africani per bloccare i migranti. Il piano – denominato dal premier stesso “Migration compact” sposa in pieno l’idea dell’accordo con Erdogan di delegare a terzi la responsabilità di gestione delle nostre frontiere, senza alcuna attenzione al rispetto dei diritti umani, facendo una pericolosa amalgama tra sicurezza e immigrazione, ed alimentando pericolose e opache collaborazioni con dittature.
Il piano sembra essere stato accolto con entusiasmo dagli altri Stati membri, compresi i più reazionari. Sarà rinforzato domani dalla Commissaria Mogherini che annuncerà misure speciali in questa direzione. Nel Migration Compact l’interesse strategico italiano è rivolto ai paesi Africani che verranno scelti sulla base del loro ruolo nelle rotte migratorie. Sembra interessare poco, cosi come è stato per la Turchia, il livello di rispetto dei diritti umani o di democrazia in quei paesi, purché si apra una collaborazione.
Da una parte l’Ue propone ai Paesi africani di stabilire un fondo europeo per gli investimenti nei paesi terzi, prevedendo per gli aspetti economici una stretta collaborazione con le imprese italiane ed europee. Cosi come è stato con Finmeccanica per anni in Libia, ed oggi Eni ed Edf, sulla pelle dei migranti si cerca anche di ottenere un profitto per le imprese europee a cui, con la scusa della collaborazione, si aprono le porte dei principali giacimenti della regione. Si parla anche di quote d’ingresso legali. Ma, come si è già visto, verranno presto abbandonate o si limiteranno a poche centinaia di posti, senza nessun impatto sugli arrivi via mare. Per i richiedenti asilo si propone il modello dell’accordo con la Turchia: il rafforzamento del sistema d’asilo nei paesi di transito e qualche posto nelle operazioni di reinsediamento che si riescono a fare.
Sul piano delle offerte c’è anche quello della collaborazione al rafforzamento della sicurezza delle frontiere africane. Qui appare evidente la pericolosa sovrapposizione tra sicurezza e immigrazione, cosi come l’introduzione, nella gestione dell’immigrazione, delle missioni militari di sicurezza nella regione del Sahel, immaginando addirittura di aprire una nuova missione nel Corno d’Africa. L’Italia propone all’Europa di rinforzare la sua presenza nella regione del Sahel, con missioni militari in cui il controllo delle frontiere si unirebbe alla lotta al terrorismo, al traffico di droga, al crimine organizzato e ai migranti.
Dal canto loro gli Stati Africani – secondo il piano italiano – si dovrebbero impegnare a controllare le proprie frontiere terresti e marittime, partecipando anche alle operazioni di salvataggio. L’Italia propone che Libia ed Egitto – paesi che praticano la detenzione dopo il salvataggio – si facciano carico delle operazioni di search and rescue grazie ai mezzi regalati dagli europei. Ritorna anche l’idea dei centri di selezione tra migranti e richiedenti asilo quando sono ancora lontani dalle coste italiane.
Asse portante del piano italiano anche la politica di rimpatri. Oltre alla richiesta di un coordinamento e finanziamento europeo nelle operazioni di rimpatrio, si propone anche la revisione dell’art. 13 dell’accordo di Cotonou che aprirebbe all’utilizzo della clausola di riammissione con tutti i paesi dell’Africa e dei Caraibi. Gli accordi sarebbero firmati sia con paesi di origine che con quelli di transito, aprendo ad ulteriori accordi tra paesi Africani che rivedere il già precario principio di libertà di circolazione nello spazio ECOWAS-CEDEAO.
Un capitolo a parte è dedicato al caso Libico. Nonostante l’evidente caos che regna ancora nel paese, il Governo Italiano propone attività di formazione per il controllo della frontiere. Ad un paese con campi di detenzione in cui si pratica la tortura, l’Ue dovrebbe affidare lo screeening tra migranti economici e richiedenti asilo, alla base della logica hotspot. Questo capitolo anticipa la proposta che Mogherini presenterà nel Consiglio di Difesa, cioè l’ingresso in acque libiche di una missione ufficialmente di lotta ai trafficanti, in realtà di controllo delle frontiere.
L’Arci, che opera un costante monitoraggio delle politiche di esternalizzazione italiane verso i paesi di origine e transito dei migranti, denuncia l’idea base del Migration Compact e i rischi che comporta di una militarizzazione della gestione della migrazione che moltiplicherà le violazioni dei diritti fondamentali, senza fermare le morti alle frontiere. L’Italia si allinea così ai governi che hanno scelto la chiusura e l’intolleranza, con un cinico piano di esternalizzazione delle frontiere e di ricerca del consenso sulla pelle di migliaia di persone.
Di Filippo Miraglia, Vicepresidente Arci.