L’immagine delle madri che tengono in alto i figli per non farli affogare nella stiva di una nave che sta imbarcando acqua, raccontata da uno dei pochi superstiti dell’ultimo dei naufragi di questi giorni, al largo delle coste libiche, bisognerebbe trasmetterla nelle aule dei parlamenti e nelle stanze dove si riuniscono i governi dell’UE. Come bisognerebbe far sentire a tutti la testimonianza del padre del piccolo Ailan, il cui piccolo corpo fu rinvenuto sulla spiaggia di Bodrum, morto insieme al fratellino e alla mamma. Questo padre lancia un’accusa che non ammette repliche: avete promesso che avreste fatto qualcosa per impedire la morte di altri bambini. La guerra in Siria continua e voi alzate muri e impedite di mettersi in salvo. E tanti bambini sono morti e continueranno a morire.
E infatti nemmeno i 700 morti degli ultimi giorni, compresi decine di bambini e neonati, hanno fatto cambiare idea ai governi dell’UE. L’obiettivo è sempre lo stesso: impedire alle persone di partire, di mettersi in salvo. Per questa ragione l’UE e l’Italia puntano a replicare, attraverso il Migration Compact, il prima possibile con la Libia (l’Egitto è già un nostro partner, nonostante le tante chiacchiere sui diritti umani calpestati da quel governo), il vergognoso accordo che condanna i siriani, gli afgani e gli iracheni (perché soprattutto di loro si tratta) a rimanere prigionieri nei campi profughi (o nelle carceri) della Turchia, senza alcuna speranza né di tornare indietro né di andare avanti.
Il tema è oramai diventato una emergenza planetaria, ne hanno parlato anche al G7 e sono coinvolte le opinioni pubbliche di tutto il mondo. Si tratta della più grave crisi umanitaria dal dopo guerra. Bisognerebbe prenderne atto e attivare la Direttiva 55/2001 che prevede strumenti adeguati e la condivisione degli oneri derivanti dai flussi straordinari prodotti dalla crisi.
Ma i governi dell’UE, che si riuniscono oramai con insolita frequenza, l’unica cosa che dovrebbero fare e che risolverebbe gran parte dei problemi, non la fanno. Continuano a cercare soluzioni che scaricano su altri la responsabilità, per allontanare dall’UE i profughi con le loro tragedie: esternalizzare le frontiere, sottoscrivere accordi con i governi dei paesi di partenza e di transito perché fermino le persone in fuga, rimandare indietro i superstiti. Quindi sottoscrivere più accordi, con chicchessia, purché si riprendano gli irregolari (inventati dal sistema Hot Spot). Un approccio che è oramai il principale responsabile, con i governi che se ne fanno promotori, di questa strage. E che, oltre ad alimentare il numero di vittime, continua a produrre consenso sulle politiche di chiusura e di respingimento. Cioè cinismo, razzismo e intolleranza.
Se si vuole realmente dare una risposta efficace e che renda giustizia delle tante sofferenze prodotte dalle guerre e dai regimi dittatoriali, bisogna affrettarsi ad aprire canali umanitari dal Nord Africa, dal Corno d’Africa e dal medio oriente. Almeno un milione di persone da distribuire secondo criteri di ragionevolezza, che tengano conto della dimensione e delle capacità di ogni Paese. La Direttiva 55/2001 consente di fare questo e altro (permesso di soggiorno temporaneo europeo, lasciapassare europei per imbarcarsi su voli e navi di linea, piano europeo per l’accoglienza, risorse aggiuntive) e va promossa dai governi e attivata dalla Commissione Europea. E invece nessuno, neanche il nostro governo, sta chiedendo l’applicazione di questa Direttiva. E finché sarà così, con l’estate alle porte, saremo obbligati a contare tanti altri morti. Per questo è importante che il prossimo 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, in tutte le piazze italiane e alle tante frontiere europee ci siano migliaia di persone in marcia contro i muri, per l’accoglienza e il diritto alla protezione.
Di Filippo Miraglia, Vicepresidente nazionale Arci