di Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale Arci
Il Summit europeo di Bratislava e quello delle Nazioni Unite a New York hanno mostrato quanto il tema delle migrazioni sia centrale in questa fase storica.
La retorica utilizzata a tutti i livelli, soprattutto al vertice europeo, evita esplicitamente di affrontare i problemi reali, prevalendo la preoccupazione dei governi di non perdere consenso.
Il tema dell’immigrazione è diventato infatti il principale argomento intorno al quale si costruiscono le fortune politico elettorali di molti leader, soprattutto dell’estrema destra xenofoba e, per contro, le disgrazie di molti governanti.
La Brexit, gli ultimi appuntamenti elettorali in Germania e in Austria, ci dicono proprio questo. La stessa disgregazione dell’UE sembra delinearsi sulla base dei conflitti emersi tra i governi su questo argomento. Leggendo le conclusioni del vertice dei capi di governo dei 27 Paesi dell’UE, il primo senza la GB, la sensazione è quella di vivere un incubo.
Gli obiettivi sono tutti volti a un’ulteriore chiusura e un aumento dei controlli alle frontiere. Il ‘dettaglio’ di migliaia di morti causati dalle scelte di chiusura e della totale assenza di solidarietà verso le popolazioni in fuga dalle guerre è completamente scomparso dalla discussione. Le misure previste sono tutte nel segno della continuità dell’accordo con la Turchia.
Si indica come unica strada quella di impedire a centinaia di migliaia di persone di mettersi in salvo.
Nel 2015 la maggioranza di chi ha attraversato la frontiera europea proveniva dalla Siria, il secondo e terzo gruppo da Afghanistan e Iraq (circa l’80% degli ingressi). A Bratislava i governi europei prendono atto con soddisfazione che proprio a questi profughi è stato impedito di venire in Europa a chiedere asilo e si impegnano a moltiplicare questo tipo di accordi per ridurre a zero i flussi.
Sono i Paesi usciti dalla seconda guerra mondiale con l’impegno di costruire un’Europa di pace, giusta e solidale: stanno andando nella direzione opposta. Una mutazione antropologica che ci riguarda e che non lascia presagire nulla di buono per il futuro del vecchio continente.
I ventisette si impegnano inoltre ad aumentare gli accordi per rimpatriare le persone e per impedire loro di partire. Una direzione presa in maniera decisa dal nostro Governo («faremo da soli», ha minacciato il nostro premier) che, sull’esempio dell’accordo con Erdogan, sta promuovendo la firma di accordi ‘segreti’, di polizia, senza coinvolgere il Parlamento, con i peggiori dittatori africani (Sudan, Gambia, Egitto…)
Questo è, infatti, il fulcro del Migration Compact (richiamato, come scelta opportuna, anche dai sindaci che in questi giorni intervengono sul tema accoglienza) proposto dall’Italia ai partner europei, e presentato come alternativa ‘democratica’ alle attuali politiche europee.
In realtà si tratta sempre della stessa ricetta, respinta dagli altri governi dell’UE solo per ragioni economiche (prevede un aumento dei fondi da utilizzare nel ‘baratto’ con i paesi d’origine e transito) ed egoistiche, poichè indica anche l’obiettivo della ripartizione. Obiettivo già fallito, come dimostrano i numeri del ricollocamento: 3000 ricollocati su 160mila previsti. Ricollocamento che, lungi dall’essere una soluzione, alimenta ulteriori ingiustizie, se è vero che la maggior parte dei ricollocati è stata inviata in Paesi dove non vuole stare e dai quali è probabile che si sposti nuovamente, anche per mancanza di prospettive di lavoro.
In conclusione si può dire che questo vertice rappresenta un’ulteriore passo verso la disgregazione dell’UE, con grandi concessioni politiche e culturali alle ragioni della destra xenofoba e razzista. La tabella di marcia di Bratislava sembra più il calendario dell’avvento, dove dietro ogni casellina c’è però non un cioccolatino ma un teschio o una croce uncinata. Davvero una bella prospettiva per l’Unione Europea.