da Huffingtonpost del 14/07/2017 di Walter Massa coordinatore nazionale sistema di accoglienza Arci
“La matematica non è un’opinione”. Questa è una verità inconfutabile così come lo è il fatto che questo paese, l’Europa, potrebbero benissimo affrontare con dignità ed efficacia il fenomeno migratorio che dal 2010 ha segnato in modo indelebile l’agenda politica mondiale. Oltre 65 milioni di uomini e donne sono costretti a fuggire dalle loro terre; poco più di un milione sono arrivati in Europa e circa 170 mila in Italia alla fine del 2015. Sono 70 mila gli sbarchi fino alla fine di giugno 2017. Ammettiamo pure un flusso di sbarchi costante per i prossimi 10 anni pari a 170 mila persone all’anno. Si tratta comunque di 1 milione e 700 mila persone e noi siamo un paese di quasi 61 milioni di abitanti, considerato una delle principali potenze economiche mondiali.
Circa 180 mila persone sono attualmente accolte nel sistema d’accoglienza. Se fossero distribuite in tutti i nostri 8mila Comuni, ciascuno accoglierebbe 23 persone. Peccato che i comuni impegnati nell’accoglienza sia meno della metà. E qui arrivano i primi problemi di un sistema nazionale che, oggettivamente, così non può più funzionare. E non può soprattutto perché, dei 180 mila migranti oltre 120mila sono accolti in un sistema definito di “prima accoglienza”, il sistema prefettizio CAS, completamente fuori controllo (tanto che bisogna sperare nella buona volontà dei singoli gestori) e che continua a produrre “storture” sul piano gestionale e dell’integrazione.
Già, l’integrazione, quella che sta a cuore a noi e ai cittadini italiani e che invece sembra interessare sempre meno al nostro Governo e al Ministero dell’Interno, tanto che il nuovo Capitolato d’appalto per i Centri d’Accoglienza, emanato nei giorni scorsi, va esattamente nella direzione opposta a ciò che era stato impostato e deciso la scorsa estate con il Decreto Morcone relativo alla gestione dei progetti SPRAR.
Se è vero che i due sistemi, CAS e SPRAR, sulla carta, sono diversi per tipologia e obiettivi, è altrettanto vero che, nella realtà, la situazione è tutt’altra. Infatti, le pessime pratiche del sistema prefettizio stanno condizionando enormemente il sistema SPRAR, potenzialmente capace, al contrario, di garantire efficacia, trasparenza e integrazione. Questa sempre più insostenibile dicotomia ha portato la nostra associazione a dotarsi di Linee Guida nazionali sull’Accoglienza proprio per ovviare alle debolezze del sistema prefettizio, con l’obiettivo di contaminarlo positivamente con le modalità SPRAR.
E quindi accoglienza diffusa, utilizzo di appartamenti al posto dei grandi centri, attivazione da subito di percorsi di autonomia, legati per esempio alla preparazione dei pasti e all’organizzazione della vita quotidiana. I tentativi di contaminazione stanno dando risultati positivi nelle comunità territoriali in cui operiamo. Ma tutto questo lavoro è, giorno dopo giorno, minato alla base da scelte, decreti e circolari ministeriali che danno indicazioni opposte. Come, appunto, il capitolato d’appalto per i centri d’accoglienza. Da una prima lettura emerge una differenziazione ancora più marcata tra prima (Cas) e seconda accoglienza (Sprar), assolutamente anacronistica e che introduce un concetto di fondo profondamente sbagliato, e cioè che chi si trova in prima accoglienza non è detto che riceva un titolo di soggiorno e che quindi è del tutto inutile promuovere azioni di integrazione per chi si trova in quel sistema.
Una posizione sbagliata e pericolosa. Stiamo infatti potenzialmente parlando di oltre 120mila persone alle quali scegliamo di non dare alcuna chance per il futuro. Il Governo, se vuole seriamente lavorare per la buona accoglienza, inverta la rotta, riapra un confronto serio con il terzo settore, stabilisca al più presto criteri e condizioni per i soggetti gestori, dia vita ad un albo delle organizzazioni che svolgono attività di accoglienza sulla base dell’effettiva capacità e delle reali esperienze. Trovarsi a competere con fabbriche di scarpe e agenzie immobiliari è quanto di più frustrante possa accadere a chi, come l’Arci, ha speso i 60 anni della propria esistenza per tutelare i più deboli e per la promozione delle persone e dei loro diritti. Al tempo stesso definisca una “black list” dei soggetti gestori che in questi anni si sono macchiati di incapacità gestionali o, peggio, malaffare. Solo così saremo in grado di fare meglio quello che già oggi è possibile fare bene.