da ArciReport del 27 luglio 2017 di Filippo Miraglia, Vicepresidente Arci
La discussione in corso sul codice di condotta delle ONG è un tentativo maldestro di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dall’incapacità dell’UE, e del governo italiano, di trovare soluzioni giuste e praticabili alla crisi umanitaria che investe l’UE solo in piccolissima parte (i numeri pubblicati dall’UNHCR indicano l’UE come una delle aree del pianeta meno interessate dai flussi straordinari in aumento a causa di guerre, persecuzioni e crisi ambientali), sulle spalle di quelle organizzazioni umanitarie che hanno in questi mesi meritoriamente coperto in parte ( le navi delle ONG hanno tratto in salvo in questi mesi circa il 40% delle persone sbarcate in Italia) la responsabilità pubblica di salvare vite umane nel mediterraneo. Le regole per le navi che svolgono attività di ricerca e salvataggio in mare già esistono, e volerne imporre altre inserendole in un ‘Codice di condotta’, suggerisce che le organizzazioni umanitarie non abbiamo agito correttamente. L’obiettivo concreto continua a rimanere quello di bloccare i flussi, impedendo alle persone di mettersi in salvo, anche consegnandole alle bande che controllano il territorio e i porti libici, di cui è noto il comportamento criminale.
Il precedente accordo col regime di Erdogan dimostra che i nostri governanti non si fanno molti scrupoli nel valutare le conseguenze delle loro scelte sui diritti delle persone. L’importante è poter raccontare all’opinione pubblica, agli elettori, che si è fatto il possibile, magari riuscendoci, per impedire ai migranti di raggiungere le nostre frontiere.
In questo quadro, il Codice di condotta per le ONG ripete disposizioni di legge già previste, indicando procedure normalmente applicate dalle navi delle organizzazioni umanitarie e introducendo alcuni elementi preoccupanti che puntano a limitarne l’operatività, criminalizzando le associazioni. C’è poi la previsione di impegnare la polizia giudiziaria per operare indagini sulla presenza a bordo di eventuali scafisti che rappresenta un ulteriore elemento di criminalizzazione dei migranti nel momento in cui sono più vulnerabili. Infine la richiesta di dichiarare le fonti di finanziamento a ONG che già pubblicano i bilanci on line serve solo a creare diffidenza nei loro confronti. In definitiva, questa del Codice si configura come un’operazione intimidatoria (verso le ONG) e di propaganda, che non risolverà certamente i problemi di scarsa autorevolezza del governo italiano nell’UE e il cui unico effetto potrebbe essere l’aumento dei morti in mare (è di ieri la notizia di altre 13 vittime). Di ben altro coraggio e intelligenza politica ci sarebbe bisogno, sia nella relazione con gli altri governi dell’UE che nella gestione dei flussi straordinari. Chiedere all’UE di attivare la Direttiva 55/2001, indicando finalmente la strada della condivisione e della solidarietà e non della chiusura e dell’egoismo nazionalista, aprire canali d’accesso legali e sicuri sottraendo le persone in cerca di protezione al ricatto dei trafficanti e mettere in campo un programma europeo di ricerca e salvataggio. Misure che darebbero finalmente centralità alla vita e alla dignità delle persone e credibilità al nostro Paese, isolando i predicatori d’odio e i razzisti di professione.
Purtroppo una strada tutta diversa da quella imboccata dal nostro governo con questo ‘codice del capro espiatorio’.