da Huffpost 16/01/2018 | Sara Prestianni Ufficio immigrazione Arci
A Camere sciolte, il Parlamento mercoledì 17 gennaio sarà chiamato a pronunciarsi sull’approvazione della partecipazione a missioni internazionali proposte in una Delibera del Consiglio dei ministri del 27 dicembre. Oltre agli impegni rinnovati, il Governo Italiano apre a nuovi teatri di azione per le nostre truppe con un pericolosissimo quanto evidente legame con il contrasto della migrazione nella sua dimensione esterna. Saranno infatti le missioni in Libia e Niger che si vedranno attribuire la maggior parte del budget previsto da gennaio a settembre 2018: 65 milioni di euro su un totale di 83 milioni previsto per le nuove missioni. A seguire Tunisia, altro paese d’interesse geostrategico nello scacchiere delle migrazioni. Una proposta, quella che porta la firma di Gentiloni e Pinotti, che, nel caso dei due paesi africani, sembra essere una risposta incondizionata e positiva al progetto, ideato da Mogherini, della creazione di una difesa europea, ma che in realtà risponde più a interessi elettorali nazionali che a un piano militare strutturato. Ad analizzare i documenti emergono infatti varie problematiche: di metodo – per l’attribuzione del carattere di urgenza, che sembra non sussistere – di forma – per la pericolosità d’intervenire in scenari militari cosi complessi – ma soprattutto di contenuto – per l’impatto nefasto sulla vita di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga.
La missione in Libia prevede uno spiegamento di 400 uomini e 130 mezzi terrestri, oltre a quelli aerei e navali già autorizzati nell’ambito delle unità del dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro e Ippocrate. Per un totale di 35 milioni di euro per i prossimi 9 mesi, l’Italia propone una missione con dichiarati obbiettivi di contrasto alla migrazione con attività di formazione, addestramento e supporto delle autorità locali. Si continuano a finanziare così ulteriori attività di rafforzamento della Guardia Costiera libica perché intercetti i migranti riportandoli nell’inferno dei centri di detenzione da cui sono fuggiti. Un sostegno che sembra dimenticarsi di quanto ribadito anche dal Consiglio di Sicurezza Onu, che già nel giugno 2017 indicava pericolosi legami tra i membri della Guardia Costiera Libica e le milizie che gestiscono il business delle partenze. Sembra anche dimenticarsi delle immagini, sempre più tragiche, che ci arrivano da una Libia dove i migranti sono ostaggio di milizie e forze governative, ridotti in condizioni sempre più disumane e degradanti.
Stessa logica per la missione prevista in Niger: l’invio di un contingente italiano, sovrapponendo pericolosamente gli obbiettivi di contrasto alla migrazione a quelli di lotta al terrorismo. Un invio allo sbaraglio se si pensa che si giudicano necessari gli stessi mezzi e la stessa strategia per bloccare una colonna di jihadisti e un gruppo di migranti in una delle regioni più difficili del continente Africano. Sono previsti 470 uomini, 130 mezzi terrestri e 2 aeromobili – per un budget totale di 30 milioni in 9 mesi, 50 in un anno – alla frontiera tra Niger e Libia. Il contributo militare nostrano s’inserisce in modo subordinato in un più ampio intervento che vede il coordinamento della Francia e l’affiancamento della Germania a sostegno delle forze del G5Sahel, sostenuto economicamente anche da America, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
Alle nostre forze spetterebbe l’improbabile controllo della frontiera Nord del paese: con base a Madama, dove qualche centinaia di paracadutisti italiani dovrebbero controllare centinaia di chilometri di frontiera desertica attraversata da traffici di ogni tipo. Se di fatto sarà impossibile operare un reale controllo del territorio, la presenza del contingente italiano – oltre a rischiare di diventare il bersaglio di potenziali imboscate – dovrebbe risultare uno strumento di deterrenza al transito nel Nord del paese. Non si ridurrebbe quindi il numero dei migranti che entreranno in Libia, ma, obbligandoli a uscire dai sentieri battuti, si aumenterebbe il rischio d’incidente e di morti. La presenza militare italiana contribuirà a trasformare il deserto del Teneré nell’ennesimo cimitero a cielo aperto alle nostre frontiere.
A completare il quadro delle nuove missioni militari proposte dal Governo italiano, la Tunisia in un fantomatico quadro d’intervento Nato. Ma la discussione con la Nato sembra non esserci ancora stata e l’interesse di inviare 60 uomini nel nostro vicino Mediterraneo risulta, anche in questo caso, essere legato alle partenze dei barconi e al recente aumento di arrivi, con relative espulsioni sistematiche, degli ultimi mesi.
Domani quindi i Parlamentari saranno chiamati a votare un aumento sostanziale del budget delle missioni militari giustificato dalla necessità d’inserire anche le missioni di esternalizzazione del controllo delle frontiere – Niger e Libia – senza che siano state specificate le ragioni di urgenza della convocazione a Camere sciolte. Un’urgenza, quella del nostro intervento militare, che stona con la flemma e la scarsa volontà politica della maggioranza di Governo di occuparsi d’importanti riforme, quali lo Ius Soli, o delle missioni di salvataggio mentre nel Mediterraneo si continua a morire.
Assistiamo così a un’ennesima tappa del processo di esternalizzazione: dopo l’evidente strumentalizzazione dei fondi allo sviluppo a questo fine, si arriva alla loro militarizzazione, diluendo le responsabilità tra tre Ministeri: Interni, Esteri e Difesa. Una parabola negativa, quella Italiana, che va dal rivendicare il salvataggio come principio fondante della nostra azione politica, impegnando le forze armate nell’operazione Mare Nostrum nel 2014, all’impegno oggi dei nostri contingenti nel contrasto della migrazione nel deserto e in mare. Di fronte a questa deriva, evidente nel documento che sarà presentato domani, la Camera non dovrebbe procedere all’autorizzazione delle missioni internazionali proposte se non imponendo un cambiamento sostanziale che disgiunga la mortifera logica dell’esternalizzazione da quella dell’intervento militare.