Circa 250 persone hanno sfilato questa mattina. Si tratta in gran parte di cittadini eritrei, presenti sull’isola da almeno due settimane e trattenuti presso il Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Contrada Embriacola. Molti in sciopero della fame.
"No fingerprinting", "We are refugees", "We are escaping from war". Cartelli in inglese, perchè non conoscono l'Italiano e forse anche per farsi capire da quell'Europa che vorrebbe bloccarli da noi in nome del regolamento di Dublino. Gli oltre duecento profughi che protestano a Lampedusa vorrebbero invece essere liberi di raggiungere altri Paesi europei, dove hanno parenti o amici che li stanno già aspettando.
Secondo quanto riportato dai nostri operatori ARCI in Sicilia, alcuni dei manifestanti sono bloccati nell'isola da più di un mese, impossibilitati a muoversi perchè hanno rifiutato di fornire le impronte digitali. Alcuni dei migranti, riferisce la ricercatrice Martina Tazzioli, presente sull’isola, dicono di essere nel centro dal 5 novembre, mentre a norma di legge il trattenimento non può superare le 72 ore. Soggetti vulnerabili, come vittime di tratta e tortura, minori e donne incinta, dovrebbero essere poi ospitati in altre strutture di prima accoglienza.
Stamattina hanno sfilato fino in Comune, chiedendo di non essere identificati. Lasciare le impronte digitali vorrebbe infatti dire dover chiedere asilo per forza in Italia. Sono per lo più eritrei, poi c'è qualche siriano, somali, sudanesi. Alcuni di loro dicono di essere nel centro di contrada Imbriacola, ormai un hotspot, dall'inizio di novembre. Teoricamente eritrei e somali potrebbero mirare alla relocation in altri paesi Ue, di fatto però il meccanismo è ancora bloccato e comunque non garantisce di poter andare dove si vuole. Finito il corteo, i profughi sono ritornati nel centro, ma per alcuni la protesta continua con uno sciopero della fame da revocare solo quando saranno lasciati liberi di partire. Il rifiuto dell'identificazione tramite le impronte digitali e' dettato dalla certezza di dover restare in Italia, effetto contorto dell'antistorico e anacronistico trattato di Dublino.