da il manifesto 24 ottobre Filippo Miraglia vicepresidente Arci
L’estate del Codice per le ONG, dell’entrata in vigore della legge discriminatoria e anticostituzionale Orlando Minniti, degli accordi con la Libia e della campagna di criminalizzazione della solidarietà meritava una risposta pubblica.
La risposta è arrivata con i ventimila in marcia a Roma contro il razzismo, per la giustizia e l’uguaglianza.
Una grande soddisfazione l’essere riusciti a realizzare quel bellissimo e colorato corteo che sabato scorso è partito da piazza della Repubblica e si è concluso a Piazza Vittorio, dove hanno preso la parola le ragazze i ragazzi di #italianisenzacittadinanza e alcuni testimoni di quel che accade in Libia e nel sistema d’accoglienza italiano.
Un nuovo inizio, per una stagione di protagonismo del movimento antirazzista che costruisca un’alleanza nel Paese reale, dal basso, tra chi subisce le conseguenze pesanti della crisi globale e di un modello di sviluppo che crea disuguaglianze e coloro che, come ha detto don Luigi Ciotti su queste pagine, rappresentano la nostra speranza: i migranti, i rifugiati.
Nonostante le difficoltà e i timori con cui è nata questa manifestazione, possiamo dire di avercela fatta.
La maggioranza degli italiani e delle italiane che sono dalla parte giusta, quella dei diritti e della solidarietà, ma che da tempo non prendevano la parola, hanno potuto finalmente rendersi visibili e dire forte, in piazza, che migrare non è reato, la solidarietà non è reato e non lo è l’accoglienza dignitosa. Le vertenze che abbiamo rilanciato nell’appello di convocazione, pubblicato dal Manifesto, che ha raccolto centinaia di adesioni di organizzazioni sociali, locali e nazionali, sono tutte questioni centrali per la nostra democrazia.
Lo è l’approvazione della riforma della cittadinanza, ferma al Senato da più di due anni dopo l’approvazione alla Camera, che rischia di essere affossata se il PD non troverà il ‘coraggio’ di farla approvare prima della fine della legislatura. Mancano poche settimane ormai allo scioglimento delle Camere e sarebbe un errore imperdonabile regalare una simile vittoria alla destra xenofoba di Salvini e Meloni e al populismo grillino, che di ius soli non vogliono sentir parlare.
L’altra grande ferita aperta alla nostra democrazia è l’esternalizzazione delle frontiere, attraverso gli accordi con governi fantocci o dittatoriali. E le testimonianze che abbiamo sentito dal palco di Piazza Vittorio sabato scorso impongono a questo governo, all’UE e al nostro Parlamento un intervento urgente perché cessi la violenza, sottraendo le persone chiuse nei lager ai loro aguzzini, a quei trafficanti che gli accordi ora finanziano perché complici del blocco dei flussi.
Oggi è diventato difficile se non impossibile accedere al diritto d’asilo in Europa. Poche sono le persone che riescono ad arrivare per chiedere protezione e, se le politiche del governo e dell’UE non cambieranno, il diritto d’asilo verrà cancellato in maniera definitiva, perché i richiedenti non potranno arrivare alle nostre frontiere. Sarebbe come se per sconfiggere una malattia avessimo deciso di uccidere i malati.
È stato bello sabato vedere in piazza tante esperienze di accoglienza diffusa, tanti rifugiati che reclamavano il diritto ad essere considerati esseri umani e non numeri.
Si tratta di una battaglia culturale difficile e di lungo periodo. Noi dell’Arci, che ci abbiamo creduto e non abbiamo mai smesso di stare dalla parte di chi chiede protezione, vogliamo considerare la manifestazione come una tappa di un percorso che sarà lungo e difficile.
È sicuramente necessario coinvolgere altre realtà che lavorano per gli stessi nostri obiettivi e che sabato non erano in piazza. Rilanciare l’idea che la lotta al razzismo riguarda tutti e non solo le persone di origine straniera.
La piazza di sabato scorso ci consegna la responsabilità e la forza di andare avanti.
Partire dai territori, dare la parola ai protagonisti, costruire alleanze e mobilitazioni dal basso, mettere in campo una ampia campagna di contro informazione.
Non è che l’inizio.