da Arcireport 11/01/2018 Sara Prestianni Ufficio immigrazione Arci
Nella confusione dell’inizio della campagna elettorale, tra Natale e Capodanno, a Camere sciolte, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Difesa Roberta Pinotti, ha deliberato il 29 dicembre scorso la prosecuzione delle missioni internazionali nonché la partecipazione a nuove missioni, tra cui quella in Niger. Missioni che saranno discusse ed approvate dal Parlamento mercoledì prossimo 17 gennaio. Un carattere di urgenza, quello del nostro intervento militare, che stona con la flemma e la scarsa volontà politica che vede impegnata la maggioranza di Governo in importanti riforme, quali lo ius soli. Appare sempre più evidente che la sola priorità di Minniti/Gentiloni/Renzi sia quella di esternalizzare il controllo delle frontiere, dimenticandosi dei principi di accoglienza ed integrazione.
Una missione, quella in Niger, che, ad un occhio esperto della regione, risulta militarmente e politicamente pericolosa. Il contributo militare nostrano si inserisce in modo subordinato in un più ampio intervento che vede il coordinamento della Francia a sostegno delle forze del G5 Sahel con finalità che vedono mischiarsi pericolosamente gli obbiettivi di lotta al terrorismo, di traffico di essere umani e di stabilizzazione della regione. Sembra che alle nostre forze spetti l’improbabile controllo della frontiera nord del paese: con base a Madama, dove qualche centinaio di paracadutisti italiani dovrebbero controllare centinaia di chilometri di frontiera desertica attraversata da traffici di ogni tipo. Se concretamente sarà impossibile operare un reale controllo del territorio, la presenza del contingente italiano potrebbe risultare uno strumento di deterrenza al loro transito dall’oasi di Madama. Non si ridurrebbe quindi il numero dei migranti che entreranno in Libia, ma, obbligandoli ad uscire dai sentieri battuti, si aumenterà cosi il rischio di incidente e di morti. La presenza militare italiana contribuirà a trasformare il deserto del Teneré nell’ennesimo cimitero a cielo aperto alle nostre frontiere.
Una presenza, quella italiana, che, sulla pelle di centinaia di uomini, donne e bambini, risponde ad interessi economici – guardando alle miniere di uranio e oro di cui è costellata la regione – e geostrategici – in un disperato tentativo di concorrenza ai vicini di Oltralpe che si gioca da Tripoli a Niamey.